lunedì 17 maggio 2010

Siddharta di Herman Hesse



"Nell'ombra della casa, sulle rive soleggiate del fiume presso le barche, nell'ombra del bosco di Sal, all'ombra del fico crebbe Siddharta il bel figlio del bramino". Inizia così Siddharta. Siamo in India, nel V°secolo a.C, in una terra pittoresca popolata da bramini, fachiri, monaci e commercianti tutti intenti a vivere la loro vita. Spendiamo due parole sulla dottrina induista delle caste per maggiore chiarezza: tutto il creato è opera di Brahma, i bramini (cioè i sacerdoti del culto) vengono generati dalla sua testa e sono dunque la classe più importante e riverita, i principi e i guerrieri escono dalle braccia, il ventre genera i contadini e i commercianti e dai piedi escono gli umili manovali; infine c'è la classe dei Paria (o intoccabili) che non sono niente, non hanno nemmeno diritto di esistere e non possono essere toccati, pena la perdita dell'appartenenza alla propria casta. Vivendo degnamente la propria vita ci si reincarnerà in una casta più alta via via fino ad ottenere il nirvana cioè l'uscita dal circolo vizioso delle rinascite. La vita da origine al desiderio e il desiderio da origine al dolore.

Siddharta in cerca dell'illuminazione abbandona "la casa del padre" assieme all'amico Govinda. Nel bosco incontrerà i "samana": degli individui capaci di privarsi di tutto: dai vestiti, al cibo, alla propria integrità fisica. Con essi sperimenterà sulla propria pelle la povertà totale (come San Franceso - figura amata da Hesse - anche i samana non possiedono nemmeno gli stracci che hanno addosso), digiuni prolungati e mortificazioni del corpo fino ad imparare le tre cose per lui più importanti: digiunare, pensare, aspettare. Dopo aver imparato tutto il possibile dai samana abbandona la setta ed entra nel mondo. Conosce il Buddha (Gotama) ma non si unisce ai suoi monaci e quì si separa dall'amico Govinda. In città incontra il mercante Kamaswami e "la bella Kamala". quì conosce la "sete di vita" (samsara). Tra perdizione e spirito di ascesi sarà ancora arduo il suo cammino. Esperienza dopo esperienza Siddharta aggiungerà, tassello su tassello, pezzi importanti nel suo mosaico dell'illuminazione.

Siddharta, probabilmente l'opera più universalmente nota di Hesse, nasce dallo studio dello scrittore su gli aspetti e sulla vita dell'India ricavati dai testi indiani (Veda e Upanishad la cui lettura Schopenhauer definì l'unica consolazione avuta nella vita) portati in Germania dal nonno che fu missionario nella pensiola (tradusse la Bibbia in un paio di idiomi locali) e trasmise la propria passione al nipote che sfortunatamente non riuscì ad approdare in India durante un viaggio e si fermò su un isola vicina bloccato dalla malattia tipica dei viaggiatori che bevono quelle acque: la dissenteria.
Davanti a opere così grandi eppure così semplici al recensore si pongono degli interrogativi.
A raccontare la trama si toglie al lettore il piacere della scoperta e si tende a banalizzare l'opera; a parlarne troppo poco non si riesce a raccontare l'incanto e le mille sfaccettature; a ragionarci su troppo si toglie la genuinità del prodotto artistico, suo punto di forza.
Tranquilli, il libro è più facile a leggersi che a recensirsi: narra di un uomo alla ricerca della felicità.
Tutta la produzione di Hesse si basa sul confronto dualistico di due parti: due personaggi rappresentano la propria "fazione". Solo con la fusione dei due aspetti si ottiene la completezza e non con lo scontro (pensiamo al simbolo Yin e Yang dove le due parti si compenetrano formando la perfezione oppure al video degli Aerosmith e Run Dmc "Walk this way" dove i due gruppi suonando si infastidivano reciprocamente fino a capire sul finale che uno migliorava l'altro).

Siddharta è un libro che difficilmente si può mettere via sentondosi uguali a prima, viene venduto dal 1922 e continua ancora oggi a essere uno tra i libri più letti (e regalati). Forse perchè quì i suoi lettori trovano qualcosa che evidentemente non trovano da altri parti.

Giuliano Frontini

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