lunedì 17 maggio 2010

Zaha Hadid: progettare l'improgettabile




Anni addietro, quando si pensava a un architetto, ci si immaginava una persona triste, un colletto bianco nel suo studio, seduto al suo tavolo da lavoro a realizzare disegni incomprensibili ai più.
Ora invece, è sempre più difficile distinguere i contorni di questa professione e semmai è nata una nuova figura, quella dell'eclettico, che tanto affascina e spinge i giovani a intraprendere questo tipo di strada, sbattendo contro tante porte chiuse e facendo i conti con la propria determinazione.
Se pensiamo a Zaha Hadid, noi pensiamo a questo. Alla forza di volontà e alla tenacia che hanno sfidato un mondo elitario e prettamente maschio, uno stato in bilico tra occidente e oriente, tra apertura e conservatorismo e lo scetticismo della società contemporanea e paradossalmente è più interessante ricordarsi di questo architetto per la sua biografia e per i progetti che non sono mai stati realizzati piuttosto che per i suoi effettivi successi.
Zaha Hadid nasce a Baghdad nel 1950, figlia di un politico, agronomo e industriale, cofondatore del Partito Nazionale Democratico, ambiziosa quanto il padre; vive in in un Iraq molto diverso da quello odierno, incredibilmente molto più liberale e proiettato all'occidente, ma chiuso rispetto al ruolo della donna nella società. La Hadid sfida questo tabù. Studia tra Baghdad e la Svizzera e si laurea in matematica all' American University nella capitale iraqena, iscrivendosi poi all'ordine degli architetti a Londra, nel 1972.
E' proprio qui che incontra l'ambiente fertile per sviluppare il suo talento influenzato da Liebeskind, Alsop e dal suo maestro, Rem Koolhaas, che la inviterà a lavorare in pianta stabile con lui, ma che lei rifiuterà per via del suo forte e indipendente carattere (Rem la definì "un pianeta nella sua orbita") e per permettersi di sviluppare il proprio modus operandi e la propria idea di architettura, una sorta di modernismo barocco in cui gli spazi sono fluidi e geometricamente frammentati, che parlano da soli.
Fa quasi sorridere se pensiamo che la critica ha sempre osannato questo architetto come uno dei più visionari e avanguardisti, mentre il pubblico ha sempre definito i suoi lavori sconcertanti.
E ci stupiamo ancora di più se pensiamo che i progetti realizzati riguardano uno ski jump a Innsbruck, il Rosenthal Center for Contemporary Art in Cincinnati, Ohio i cui committenti non erano esattamente aperti all'innovazione.
Eppure proprio il Rosenthal Center confuterà la tesi secondo cui le architetture di Zaha non sono edificabili e le consentirà di ottenere prestigiose altre commissioni, con la possibilità si sviluppare in totale libertà il suo talento e venendo consacrata come uno dei più stupefacenti e interessanti architetti del secolo.
Chissà se alla sua morte (speriamo il più in là possibile) ci sarà qualcuno che sarà in grado di portare avanti questa filosofia progettuale, questa tenacia e forza (supportate da un talento fuori dal comune) e deciderà di "ballare da sola", farsi da sè e cambiare il mondo dell'architettura?
Stiamo a vedere. In fondo a luglio si aprono le sessioni di laurea al Politecnico.

Deniz Santoro

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