lunedì 15 marzo 2010

La radio: intervista a Marialuisa "Luly" Rovetta



Con l’intervista a Marialuisa “Luly” Rovetta, conduttrice del programma radiofonico “Penelope Farmer”, in onda su Radio Onda D’Urto, inizia un ciclo di interviste a personaggi legati al mondo della cultura. Ci è sembrato interessante partire da questa giovanissima conduttrice radiofonica, affascinati dal linguaggio radiofonico, sicuramente differente dalle attuali forme di comunicazione più note.

Perchè Penelope Farmer?


Penelope Farmer, o meglio, Penelope Jane Farmer, è una scrittrice inglese, principalmente per bambini. Uno dei suoi libri, pubblicato nel 1969, si intitola Charlotte Sometimes ed ha ispirato il singolo omonimo della mia band preferita, i Cure. Volevo un nome che mi tenesse legata a questa band che tanto amo, ma che non fosse un riferimento troppo esplicito. Qualcosa che mi unisse ai fan dei Cure, perché solo i veri appassionati della band sanno chi è Penelope Farmer.

Per una generazione che ha, fra le massime aspirazioni, quella di essere veejay, cosa vuol dire fare una scelta "controcorrente" come la tua, cioè di lavorare in radio?

In verità voglio dimostrare che "La stella della radio è stata uccisa", come cantano i Buggles, è una balla. In verità è ancora viva. Sono pienamente consapevole che siamo in un mondo in cui ormai l'apparire è l'unica cosa che importa, il punto è che non importa a me o almeno, non è tra le mie priorità e non credo di essere l'unica. In particolar modo quando si parla di musica. La musica è l'arte del suono, ora, sapete tutti da che cosa è fatto il suono e lo percepiamo con le orecchie non con gli occhi. Mi capita spesso di vedere delle performance musicali in cui il cantante è costretto a ballare e a dimenarsi sul palco come un dannato cercando di ricordarsi passi e parole contemporaneamente (sperano che non sia in playback), tutto questo credo che sia fuorviante, ti fissi su cosa stia cercando di fare quel poveretto e non ti godi la musica, ciò che in quel dato momento dovrebbe essere la protagonista. La stessa cosa per i video musicali, anche se sono la prima ad apprezzare certi capolavori, come i video dei Depeche Mode curati da Anton Corbijn, però appunto apprezzi il video che come una modella sà portare perfettamente il suo abito, la musica, oppure ci sono i video che salvano le canzoni… belle modelle che grazie ad un bel fisico riescono a rendere un sacchetto dello sporco un abito decente. Quindi ritengo che la radio sia ancora il mezzo per eccellenza per la divulgazione della musica. Non mi interessa apparire, mi interessa condividere una passione. Con tutto il rispetto per i Veejay, io preferisco lavorare in radio.

Quale consideri il ruolo della radio nell'era mediatica della tv e di internet?

Non ha modificato il suo ruolo poichè la radio è insostituibile, pensa a quando sei in auto!!! Anzi si è coniugata con le nuove tecnologie, tipo streaming, senza perdere il suo fascino...

Quali sono le tematiche principali affrontate nel tuo programma?

Penelope Farmer nasce con la voglia di condividere, far conoscere e divulgare la passione per la New Wave, movimento culturale, artistico e musicale che nacque tra la fine degli anni settanta e i primi anni anni ottanta del XX secolo. Ogni puntata parla di una o più band che è stata partecipe di questo movimento; gli esordi, i successi, gli aneddoti e anche le collaborazioni. Presto finirò anche il sito internet dove caricherò anche i Podcast dato che molte persone spesso non riescono ad ascoltarmi tutti i Martedì (dalle 15.15 alle 16.00) che per alcuni come i miei colleghi universitari è un orario un po' infame.

Nel panorama musicale attuale, quale gruppo o cantante reputi più talentuoso? E quale invece reputi possa avere maggiore successo?


Prossima domanda? ahaha no dai scherzo…mmm... è molto difficile rispondere. Comprendo l'oggettiva difficoltà nel proporre cose nuove, ma anche prendendo spunto da generi passati si può essere innovativi e avere successo senza "sputtanarsi"…perdonatemi il termine.
Mi vengono in mente quindi Editors, White Lies, Interpol ecc.. che proponendo materiale di qualità, con chiari riferimenti al genere che tratto, hanno avuto successo tra pubblico e critica.
Cosa diversa per il mercato italiano che come al solito prende le tendenze dall'estero e le ripropone alla buona, come l'indie che ha prodotto solo micronicchie che fanno musica indirizzata solo ad un bacino ristretto di persone e che ruota intorno a se stesso.
Una volta le band avevano come obiettivo il passaggio ad etichette maggiori per poter far sentire la propria voce... Bluvertigo, Timoria, Subsonica, Afterhours.. che sono gli ultimi nomi importanti usciti e si parla ormai di 15 anni fa. Adesso le band sono affermate se suonano in 15 localini davanti alle solite 100 persone.. e se fanno successo sono venduti..è un concetto che fa del male alla musica di qualità, ma fa bene alle tasche di chi controlla questo fenomeno che ha raggiunto livelli di provincialismo estremo. Band famose nella tua città che a 50 km non sanno nemmeno chi siano!!! Indicarti dei nomi nuovi è difficile…soprattutto per quanto riguarda l'Italia.


Ultima domanda: quali sono i tuoi personali progetti per il futuro? Continuerai a lavorare in radio o si prevede un "illuminante" carriera da designer?

Progetti per il futuro tanti, ogni giorno me ne invento una. L'ultima? Organizzare serate in un locale vicino a Brescia Aerosol-Lab, a Villanuova sul Clisi, cercando di portare anche band extra-bresciane e proponendomi come Dj, o meglio, selezionatrice di musica ( sono sincera il dj è un'altra cosa). Il mio debutto è stato recente, sabato 6 marzo. Per il resto spero di finire gli studi a breve e conciliare quello che ho studiato con la musica.
Hai centrato in pieno un concetto del mio futuro … illuminante, ho deciso da poco di specializzarmi in Lighting Design in particolar modo per lo show; l'unione tra la percezione visiva e la percezione uditiva per creare emozioni e sensazioni… adoro il pensiero di poter comandare i sensi degli altri.

Andrea Cazzato

Morgan o i moralisti?



«La droga? Apre i sensi a chi li ha già sviluppati, e li chiude agli altri. Io non uso la cocaina per lo sballo, a me lo sballo non interessa. La uso come antidepressivo…» queste sono le parole rilasciate da Morgan in un’ intervista a Max. Queste parole del cantautore e musicista italiano hanno immediatamente provocato uno choc generale e hanno agitato la Rai che è intervenuta decidendo di escluderlo dal Festival di Sanremo al quale si voleva presentarsi con “La sera”. Su questo punto sono poi nate opinioni divergenti: molti cercano di difendere Morgan dicendo che l’intelligenza e le abilità del cantante non vanno trascurate ed è quindi necessario permetterli di debuttare al festival . Essi sono del parere che secondo la società odierna bisogna dare solidarietà a Morgan in quanto “vittima sconosciuta del proibizionismo”. La loro ideologia è che bisogna sostenere le persone come quest’ultimo,che vivono un “incubo” a causa della depressione,della solitudine e,soprattutto,del terrore di essere giudicate. Sostengono che Morgan sia stato semplicemente frainteso dal giornalista,come egli stesso ha detto,ed è quindi poco affidabile credere alle parole riportate sulla rivista Max. Altri invece sono del parere che Morgan abbia potuto influenzare un pubblico giovanile, pendente dalle sue labbra, con parole diseducative espresse pubblicamente e con molta indifferenza. Secondo il loro parere, egli non è stato ipocrita ma certamente immaturo sia nell’uso delle sostanze tossiche in questione sia nella pubblica dichiarazione avvenuta di fronte a migliaia di italiani tra cui la maggior parte appartenente alla fascia di età adolescenziale. Intanto Morgan si è espresso: dice di essere mortificato per quanto accaduto. Ma molti ancora si domandano: quanto si può credere a ciò che si è detto? Quanto sono vere le parole del cantante? La tv è ipocrita oppure è lo stesso Morgan a volersi pubblicizzare e a voler attirare l’attenzione e la compassione della gente?

Chiara Hammoud

Tragedia ai Giochi Olimpici invernali di Vancouver



Per raccontare un evento cosi triste , le parole non sono mai facili. Nodar Kumaritashvili, 22 anni,
mentre stava effettuando la sua sessione di prove per difendere i colori del suo paese, la Georgia, ha perso il controllo dello slittino e in una curva definita non pericolosa, è stato sbalzato via dal suo slittino, andando a sbattere in pieno contro un palo di metallo a bordo pista, mentre scendeva ad una velocità di 144.3 km/h.!
Nodar, era nato il 25 novembre 1988 a Borijomi - una cittadina di montagna della Georgia del sud, con una popolazione di meno di 50.000 abitanti - ed era un giovane atleta molto promettente. Nel 2008/2009 aveva gareggiato nella coppa del mondo, classificandosi 55° e 44° nel 'ranking mondiale' di questo difficile sport; risultati che avevano indotto i tecnici georgiani a chiamarlo a rappresentare il suo paese ai giochi olimpici invernali a Vancouver.
Il trasposrto immediato all'ospedale non è stato sufficiente per salvare la vita al giovane: la sua morte trovava conferma circa un'ora e mezza dopo da parte di un rappresentante del "Cio"(acronimo del francese Comitè Internationel Olympique).
La pista in questione - costata più di 100 milioni di dollari e realizzata per queste Olimpiadi - ha una verticale di 152 metri che la rende la pista più ripida e veloce, tanto che gli atleti l'hanno soprannominata "tromba dell'ascensore".
In un clima di dolore e sconforto, non solo per la delegazione georgiana ma per tutti, il capo della delegazione georgiana , Japaridze , ha dichiarato :"non sappiamo cosa fare, siamo tutti sotto shock, non sappiamo se partecipare alla cerimonia inaugurale oppure lasciare i giochi. Non so come sia morto ma posso dirvi questo: la pista era veramente terribile“.
«Sarai orgoglioso di me, papà, aspetta e vedrai!», aveva detto Nodar al padre David Kumaritashvili nell' ultima telefonata prima dell' incidente mortale durante le prove di slittino. Mentre lo ricorda, David fatica a trattenere le lacrime.
Il corpo del 22enne Nodar è arrivato ieri, 18 febbraio, a Bakuriani in macchina dalla capitale Tbilisi, distante circa 200 chilometri, accolto da un migliaio di persone. «Perché vivo io e non te, figlio mio», sono le uniche parole della madre Dodo che non riesce a smettere di piangere.
L' arcivescovo Serapime ha annunciato che il funerale si terrà sabato. La municipalità ha deciso di intitolare una via a Nodar Kumaritashvili e una delegazione del governo georgiano ha annunciato che sarà costruita una pista di slittino a Bakuriani e sarà intitolata a Nodar.

Anna Simone

Il "fenomeno" Vendola



Il 15 ottobre 2009, a Bologna, Nicola Vendola ricevette il Premio Comunicazione Pubblica nell’ambito di ‘COM. LAB. 2009’, iniziativa promossa dall’Associazione Italiana della Comunicazione Pubblica e Istituzionale. La motivazione fu che Vendola, innovando lo stile e gli strumenti della comunicazione politica, ne ha favorito lo sviluppo nel Paese e nelle Istituzioni, riportando al centro della politica universi valoriali e alternative possibili, e coniugando prospettive e risposte quotidiane, con iniziative pionieristiche per promuovere lo sviluppo.
Vendola ha fatto creare – da uno studio pugliese formato da pochi designer e progettisti unitisi nel gruppo ‘Artisti per Nichi’ – manifesti innovativi per le sue campagne elettorali. Usa un sistema di icone, che sintetizzano i concetti chiave. Famosa l’immagine fotografica di Vendola in un ritratto composto dalle icone delle sue politiche. Così Vendola stravolge l’usuale stereotipo delle campagne politiche. Lo studio pugliese, che cura non solo le immagini ma anche testi e contenuti, fa tesoro delle innovazioni comunicative di Obama, e le reinterpreta in chiave locale. Punta alla semplicità e all’immediatezza dei codici linguistici condivisi, come lo sono le icone, permettendo così la comprensione del messaggio a una fascia di utenti maggiore.
I partiti politici italiani non hanno questa comunicazione innovativa. Si muovono su schemi vecchi, ignorano i social network, e non hanno cura della propria immagine pubblica. Vendola invece ha voluto manifesti che lo portassero – come ha detto lui – ‘fuori dalla terza internazionale’. Il design nella comunicazione politica è una pratica poco diffusa in Italia; da sempre in Italia le Agenzie Pubblicitarie hanno un orientamento al mercato basato sulla quantità e non sulla qualità. Vendola e il suo studio seguono dunque il modello Obama, i social network, la semplificazione, e lo studio delle gerarchie delle informazioni. Così Vendola sta cambiando il modo di fare la comunicazione politica in Italia.
Questo è un primo elemento che caratterizza la comunicazione di Vendola: l’uso moderno e attuale del conflitto e della provocazione culturale nelle campagne pubblicitarie – manifesti e spot, affidandosi a professionisti del settore che usano un linguaggio giovanile spregiudicato e brillante – famoso lo slogan ‘Sono estremista nell’amore per la Puglia’. Vendola ha costruito un sito internet capace di proporsi come nodo comunicativo indispensabile per il raccordo tra i diversi comitati nati per sostenerlo. In definitiva si può dire che Vendola tiene in gran conto l’appoggio dei media, e sa avvantaggiarsene meglio di altri.
Un secondo elemento è il linguaggio proprio di Vendola: nella sua retorica insistono tre diverse tradizioni che riesce a far convivere: la tradizione comunista popolare – che riprende Di Vittorio e Berlinguer nelle questioni morali; la tradizione della passione civile e libertaria – ricorda gli ‘Scritti corsari’ di Pasolini; la tradizione ecumenico-spirituale – di ambito cattolico e con suggestioni gandhiane. Questi tre atteggiamenti creano quella che Vendola chiama ‘rivoluzione gentile’: mantiene saldi concetti e contenuti di riforma senza aggressività e violenza.
Un terzo elemento è la capacità persuasiva riguardo alla prospettiva culturale, ad esempio il tema della precarietà: Vendola qui grida al riscatto, al cambiamento del meridione. Ed è proprio qui, in mezzo alla gente, che Vendola dà il meglio di sé.
E’, infatti, proprio dai comizi in mezzo alla gente, che sono uscite le sue frasi più famose, come: ‘…è meraviglioso avere potere per restituire diritti a chi non ne ha…’; ‘…voglio combattere anche la destra che è nella sinistra…’; ‘…al di là dei voti ci sono i volti, l’oceano dei voti ed io voglio tuffarmi in questo mare anche a costo di affogare. Ora andate e votate!’; ‘…ora che sono governatore provo dolore. Soffro perché entro nel cuore del potere. Per essere felici col potere bisogna amarlo e io sono disamorato del potere. Ho paura di sporcarmi la faccia…’.
Dal punto di vista del centrodestra però, queste frasi dimostrano solo che Vendola è un populista, che i suoi comizi sono capolavori di retorica, e che lui altro non è che un astuto imprenditore di se stesso.
Anche frange del centrosinistra – in primis D’Alema – e della sinistra radicale – in primis Ferrero – muovono critiche simili a Vendola, specie per frasi come ‘…voglio bruciare la tradizione culturale dei comunisti, per poterla superare…’.
Davvero Vendola è solo un altro astuto politico? Oppure è un raro esempio di sincerità? Forse è una via di mezzo come molti altri?
Alcuni elogiano Vendola come l’‘Obama italiano’, mentre altri lo criticano come il ‘Berlusconi rosso’. Eppure c’è chi pensa anche che Obama sia da criticare, e che Berlusconi sia da elogiare.
Questioni di punti di vista, di pensieri politici. Ciò che sappiamo in modo indiscutibile è che Vendola è un personaggio politico con una comunicazione di successo – lo dimostrano i suoi risultati politici – e quindi è scomodo a molti.
Tutto ciò fa di Vendola un vero fenomeno della politica italiana, da seguire con interesse, a prescindere da come la si pensi su di lui.

Claudio Castelli

Un giorno senza messicani. Sergio Arau, 2004



California, uno strano silenzio satura l'aria. Strade deserte, negozi vuoti, uffici e posti di lavoro senza personale.
Sono spariti i messicani, honduregni, argentini; latini in generale tutti detti impropriamente "messicani".
Nessuno raccoglie più frutta e verdura che marciscono al sole (la fetta più importante dell'economia californiana è dato dall'agricoltura, non da Hollywood) e i ristoratori si affidano alla criminalità organizzata per avere pomodori, le scuole chiudono per mancanza di personale (un terzo degli insegnanti è di origine latina), i cantieri non "lavorano" senza muratori (60% di messicani), nessuno compra più cianfrusaglie e chincagliere al supermarket che sconta tutto del 50%. Persino la polizia di frontiera non sa cosa fare al lavoro: chi gioca a carte, chi si allena, chi bada ai figli. Pure una giornalista armena scompare sentendosi messicana perche "la nostra patria è nel cuore". Cosa si fa? Magari scopriamo che ci mancano...
Questa l'agile commedia di Sergio Arau in stile reportage dove più vicende si incrociano. Qualche mese fa Vladimiro Polchi si interrogava se lo stesso problema succedesse nel Bel Paese, il divertente libro si chiama "Blacks-Out" e le conseguenze narrate sarebbero analoghe a quelle del film (Quì uno stralcio del libro di Polchi letto da Travaglio: http://fattiemisfatti.com/2010/01/27/travaglio-italia-senza-immigrati/ ).
So già a che pensate e che il mio pezzo "politacally correct" si scriverebbe da solo con una serie infinita di luoghi comuni sulla tolleranza (Rosarno, lo sciopero del 1° marzo eccetera). Ma io non la penso così. A me alcune minoranze non piacciono e nella propria stanza ognuno può odiare chi gli pare. In Italia quelli che non sopporto io sono circa tre milioni.
Prima di tutto non si capisce niente di quando parlano perchè non vogliono imparare l'italiano, sbraitano e urlano per comunicare anche a un metro di distanza dall'interlocutore riempiendolo di sputacchi e sono talmente rissosi che la sera si aggirano per strada tutti assieme in ronde, ma soprattutto rifiutano ogni forma di scambio culturale e integrazione! Magari sparissero tutti come nel film, dannati leghisti!

Giuliano Frontini

“Le Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll



“Nel mio mondo i libri sarebbero fatti solo di figure.” (Alice)

Riuscite ad immaginare un mondo fatto di strani animali parlanti, un Cappellaio Matto e una Lepre Marzolina che prendono amabilmente un tè, un gatto dello Cheshire chiacchierone (comunemente noto come lo Stregatto), un coniglio bianco che corre sempre (Bianconiglio in versione disneyana)? Alice, una normalissima bambina, cade in un lungo sonno fatto di un mondo sotterraneo pieno di assurdità, pazzia e cose senza senso. Il tutto inizia con la disperata ricerca del coniglio bianco: da qui in poi nulla è scontato o prevedibile. Immaginatevi un dipinto di Dalì e sarete ancora ben lontani dalla nonsense di Lewis. Alice si rimpicciolisce e, entrando in questo strano mondo, incontra i personaggi più folli che avesse mai visto. Quando lessi il libro anni fa mi identificai subito con Alice.. anzi, più precisamente desiderai tantissimo essere nei suoi panni. Chi non vorrebbe anche per solo un giorno vivere in quel mondo così colorato, con gli animali che ti rivolgono la parola e pieno di boschi incantati? In fondo tutti siamo come Alice: con una curiosità infinita per cose che non ha mai visto prima, un po’ infantile nei modi e molto impulsiva. La ricerca del coniglio bianco è per la bambina lo scopo primario nel libro. Lo cerca senza curarsi dei pericoli, inoltrandosi nelle pazze storie dei personaggi che incontra per strada. Quel famoso coniglio bianco che non si fa mai prendere.. È un Alice che sta crescendo quella che lo cerca: una bambina che ha paura di crescere e cerca in tutti i modi di rimanere sempre bambina. Ma Alice cresce, anche grazie ai personaggi che incontra. Il famoso Cappellaio Matto e la Lepre Marzolina invitano la bambina al più pazzo ricevimento da tè che sia mai esistito: è lì che Alice è faccia a faccia con quello che è la normalità. Cos’è normale e cosa non lo è? Nessuno lo sa e neanche Alice, che cerca in tutti i modi di capire i due pazzi bevitori di tè che parlano in un modo così strano e fanno indovinelli senza senso e senza risposta. Alice non ha la risposta in nulla ma continua a cercare, è questo il suo scopo. Per tutti noi il diventare grandi è stata un’esperienza che ancora adesso ci ricordiamo: niente mondi incantati e gatti parlanti per noi, solo la dura realtà. Altro personaggio che Alice incontra per strada e che tutti noi avremmo voluto come migliore amico per poterci uscire il sabato sera è il Bruco Blu (noto a tutti come il Brucaliffo), intento a fumarsi un Narghilè. La stranezza di linguaggio e la sua particolarità di non farsi capire assolutamente mentre parla è la caratteristica di questo altezzoso bruco che non fa altro che fumare dalla mattina alla sera sopra ad un fungo.E qua, cari lettori, non aspettatevi osservazioni o, ancora meglio, elogi sui funghi e droga. Con il rischio di non venir pubblicata, vi dico solo che oltre alla famosissima scena del cartone animato disneyano “Dumbo” dove gli elefanti prendono varie dimensioni visti dal nostro elefantino preferito dopo una sbronza colossale, questa del Bruco Blu è altrettanto simile in fatto di sintomi derivati da sostanze illecite. Scegli, cara Alice, quale fungo prendere: quello che ti fa diventare grande o quello che ti rimpicciolisce? Alice è sola in questo mondo a dover scegliere.. nella realtà è solamente una bambina come tutte le altre ma nella fantasia di Carroll tutte le sue scelte hanno delle conseguenze. Scelte che spingeranno la bambina a crescere, a riprendere il contatto con la sua realtà e che tutto è destinato a cambiare. È alla corte della famosa Regina di Cuori che Alice si renderà conto lei stessa stava ingigantendo il tutto e che nella realtà i sudditi della regina non sono altro che un mazzo di carte. Riuscendo finalmente a comprendere che nulla al mondo è per forza degno di spiegazione e che la normalità del Cappellaio Matto sta di fatto nel crescere, Alice si risveglia e torna nel suo mondo. Capolavoro immortale quello di Carroll, che ha fatto sognare grandi e piccini. Tanti film sono stati fatti per omaggiare questo fantastico libro, specialmente il cartone animato Disney “Alice nel Paese delle Meraviglie” del 1951 che noi tutti ricorderemo. Personalmente non potrei dimenticarmi gli sberleffi dello Stregatto, il Non compleanno a base di tè mai bevuti e scambi di posto, del Bianconiglio sempre in ritardo e del famossimo “Tagliatele la testa!”. Un libro e un cartone animato magici che han saputo farmi sognare così tanto da piccola che ancora adesso mi ricordo ogni singola scena. I grandi fan di Alice però avranno una bella sorpresa in questi giorni.. Il 3 marzo 2010 è uscito “Alice In Wonderland” di Tim Burton: il regista dalle sfumature gotiche che conosciamo bene (Nightmare Before Christmas, ad esempio) che incontra la bella Alice. Che ne uscirà fuori? Forse un Bianconiglio dal cappello del Cappellaio Matto?

Chiara Moncini

Un affare di G8



Guido Bertolaso,capo del Dipartimento della protezione civile,coinvolto in un’inchiesta della Procura di Firenze sulla regolarità degli appalti per il G8,ha voluto dimettersi ma Berlusconi non ha accettato le richieste del sottosegretario. L’abitazione di Bertolaso è stata controllata,così come i suoi uffici,e quattro persone sono state arrestate. Gianni letta e Sandro Bondi hanno,però,mostrato di avere fiducia e stima per Bertolaso,che poco tempo dopo,avrebbe dovuto divenire ministro. E’ probabile che questa idea sia stata messa in dubbio dall’opposizione e anche da alcuni settori della maggioranza stessa. Il Pd (Partito Democratico),ad esempio,si era già espresso in merito attraverso il duro commento di Bersani. Tre persone furono arrestate,tra cui: Fabio De Santis,Diego Anemone e Mauro Giovampaola che aveva,addirittura,preso parte ad incarichi nella protezione civile. Il quarto ed ultimo arrestato era Balducci che era stato nominato “soggetto attuatore” delle opere per il G8 alla Maddalena (poi però sostituito da De Santis). In passato aveva avuto incarichi per gli interventi legati ai 150 anni dell’Unità d’Italia in programma nel 2011 e per la ristrutturazione del Petruzzelli (Bari). Egli è stato indagato a Roma si aper gli appalti dei Mondiali di nuoto 2009 sia per la parte romana per i 150 anni dell’Unità d’Italia in programma nel 2011. Tutto era cominciato per mezzo di un’indagine attuata dai carabinieri del Ros per controllare appalti necessari per il G8 della Maddalena (2008),questo perché vi erano state certe intercettazioni per quanto riguardava l’inchiesta Firenze (precisamente sull’area Castello). In quest’inchiesta era indagato anche Casamonti,titolare dello studio Archea. Egli era stato un progettista dell’hotel che ha ospitato i capi di Stato e di governo (alla Maddalena). Balducci viene indagato perché durante l’intercettazione delle telefonate di Casamonti viene fuori il suo nome e,quindi, diviene “vittima” dell’inchiesta. Intanto Casamonti viene accusato di truffa aggravata ed erogazioni pubbliche. Il vero motivo degli accertamenti della magistratura erano gli sprechi e le pessime condizioni in cui sostavano le strutture. La corte dei Conti aveva già preso ad indagare sui soldi utilizzati,giungendo ad una conclusione: 327 milioni (dati dalla Protezione civile) spesi dal governo attraverso la struttura di missione del G8. Gli interventi avevano riguardato l’ex Arsenale e l’ex ospedale militare. Ora le strutture si trovano in condizioni precarie e di degrado: soffitti ormai completamente crollati,tetti e porte danneggiate e nel complesso pericolose. Bertolaso aveva intrapreso un sopralluogo alla Maddalena per giungere alla conclusione che-sempre secondo Bertolaso stesso- tutte le strutture si trovano in perfette condizioni e che,esagerando,sarebbero accorsi,soltanto,alcuni lavori di manutenzione e di perfezionamento delle stesse.

Sagia Hammoud

Lo sapevo fare anch'io



Nel Rinascimento lo spazio prospettico è il simbolo del possesso umanistico dell’Universo. Al centro c’è la pupilla dell’artista, immobile e orgogliosa. Il Romanticismo porta a una perdita di dimensione ed esprime l’ansia portata da uno spazio discontinuo.
Nei primi anni del ‘900 il cubismo tenta di agguantare una quarta dimensione oltre alle tre della geometria euclidea, razionalmente e in sintonia con le nuove scoperte della teoria della relatività, e così lo spazio diventa moltiplicato.
Più avanti Willem De Kooning dirà “Tutto lo spazio che mi interessa è contenuto all’interno delle mie braccia aperte…” descrivendo così quella che allora fu definita la metafora del muro, l’espressione di una impossibilità conoscitiva. L’Universo si chiude intorno a noi come una parete invalicabile e impenetrabile.
Questo è il terreno nel quale prendono vita ovali crivellati di buchi e grosse tele monocrome squartate da tagli verticali apparentemente casuali. Che cosa vorranno significare?
Un pazzo a cui non piaceva l’arte, o forse non sapeva disegnare e sfogava in questo modo la sua frustrazione. Ho sentito dire di tutto su Lucio Fontana, ma la frase più comune è:
“Lo sapevo fare anch’io!”
Pare che l’artista sia il mestiere più semplice del mondo, che si tratti solo di bucare o tagliare un pezzo di stoffa. E’ stato anche detto con indignazione, che Fontana negli ultimi anni di vita facesse fare i suoi “tagli” a dei collaboratori. Così come Warhol faceva nella sua Factory.
Ma questo in che modo ci interessa? Quanto vale economicamente una rivoluzione culturale?
Perché al giorno d’oggi non si considera niente se non ha un valore in denaro, e allora ci scandalizziamo quando una delle sue opere viene venduta a 650 mila euro (la sua quotazione più alta per il Concetto Spaziale – Attesa venduto nel 2007 a Milano) senza renderci conto che una dichiarazione d’indipendenza non ha prezzo.
Forse, più che il costo dei suoi quadri, dovrebbe farci riflettere che non si comprende quale avanguardia abbia portato al pensiero e alla cultura lo Spazialismo di Fontana, perché lo sputo ritrovato sul vetro protettivo di una sua opera alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma è il segnale che qualcuno non solo non apprezza, cosa peraltro rispettabilissima come tutte le opinioni, ma denigra, sbeffeggia, ridicolizza e che si sente in diritto di sovrapporre la sua viscida “firma” a quella di Lucio Fontana pensando che il fratellino minore saprebbe fare di meglio!
La soprintendente Maria Vittoria Marini Clarelli ha spiegato: “Chiunque l'abbia fatto, aveva in mente un'idea precisa. Cioè che lo sfregio all'arte non era il suo sputo ma proprio i tagli di Fontana. Un diffuso luogo comune è il seguente: ma quale arte, quella 'roba' so farla anch'io”. La Marini Clarelli ha poi aggiunto: “Il fastidio e l'irritazione è soprattutto una caratteristica del pubblico appena adolescente. Tipico di chi viene qui, magari con una visita scolastica, e a quattordici anni dice: 'mio fratello è più bravo’”.
L’episodio ha spinto la soprintendente e la Galleria a proporre dal prossimo 13 maggio una mostra dedicata al concetto di taglio nel Novecento, al centro della quale ci saranno proprio i lavori di Fontana, i suoi quadri che sono una dichiarazione di guerra all’impotenza di rappresentare le dimensioni dell’occhio e della mente. Sono la dimostrazione di un’avvenuta simbiosi tra spazio reale e spazio virtuale. Cosa c’è oltre quel buco nero? Di certo non lo spazio dominato e ordinabile del Rinascimento, ma troveremo forse una dimensione vivibile. Sotto quali leggi e con quali modalità?
Spazio reale e spazio virtuale, altre dimensioni, buchi neri. Potrebbe sembrare la trama di un nuovo videogioco. E forse sarebbe l’unico modo per far conoscere alle nuove generazioni, e a quelle vecchie che si sono immedesimate troppo nel futuro, l’enorme importanza dei cambiamenti che l’arte ha contribuito ad apportare alla società.
Di sicuro chi ha creduto di saper fare di meglio dovrebbe pensare che le rivoluzioni culturali hanno portato la libertà di pensiero, e che se Fontana non avesse penetrato con i suoi tagli la realtà infrangendo così un tabù, questo sedicente ragazzino non avrebbe nemmeno avuto la possibilità di esprimere la sua opinione.

Anita Ballabio

Una meta contro l’Apartheid



E’ il 1995 quando il Sudafrica, appena uscito dagli anni più bui della sua storia, ospita il campionato mondiale di rugby. E' uno Stato che, per larga parte del Novecento vittima delle politiche dell'Apartheid dei suoi stessi governi, è al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica internazionale, già da qualche anno, grazie al suo nuovo Presidente (il primo di origini africane) Nelson Mandela. La sua elezione, chiaramente osteggiata dalla privilegiata razza bianca sudafricana, ha fatto del Sudafrica un Paese realmente democratico, cancellando le politiche razziste dei governi degli Afrikaners.
Uno dei simboli più forti dell'Apartheid sudafricano, però, è proprio il rugby, lo sport per eccellenza della razza bianca, che si contrapponeva al calcio, sport più diffuso nella popolazione di razza africana. (Eloquente dell'odio che serpeggia nel Paese, è il tifo che gli emarginati di colore facevano per le squadre avversarie nei match di rugby). In quanto simbolo dell'Apartheid anche a livello mondiale, la partecipazione della nazionale sudafricana (gli Springboks) alle competizioni internazionali non era affatto gradito.
Nel 1995, il Sudafrica, scelto come Paese ospitante della massima manifestazione del rugby, i Mondiali, è ammesso di diritto ed anche per la recente svolta che il Paese stesso ha dato alle proprie politiche. E' lo stesso Nelson Mandela che, approfittando della grossissima vetrina internazionale, "decide" di fare degli Springboks, l'icona del nuovo Sudafrica, compito piuttosto ostico, visto che la selezione prevede una quasi totalità di atleti bianchi, capitanati dall'atleta Francois Pienaar, ed un solo atleta di colore, Chester Williams.
La nazionale sudafricana non parte coi pronostici favorevoli della critica sportiva, anche per gli sciagurati test match prima dell'inizio della competizione mondiale. Però, con l'inizio della manifestazione, gli Springboks iniziano una marcia trionfale vincendo con Australia, Romania, Canada, Western Samoa e Francia, ed affrontando poi, in finale, gli ultrafavoriti All blacks neozelandesi, dell'irresistibile John Lomu. Questa partita è una delle più combattute e belle del mondiale che vede, dopo i tempi supplementari, i sudafricani prevalere sugli oceanici per 15-12, col drop risolutivo del numero 10 Joel Stransky. Gli Springboks, così, diventano i campioni del mondo. Lo diventeranno anche nel 2007 in Francia, ma la vittoria del '95, assume per diversi aspetti una aura leggendaria, ispirando anche Clint Eastwood che, nel 2009, realizza il film "Invictus", la storia di quei giorni e del legame particolare nato fra Mandela stesso e il capitano Pienaar (interpretati, nella pellicola, rispettivamente da Morgan Freeman e da Matt Damon).
L'esempio degli Springboks, a mio parere, è da considerarsi emblematico. Una giusta politica di integrazione, a volte mischiata allo sport, è una ottima strada per superare le barriere costruite dalla paura del diverso.

Andrea Cazzato

L’indimenticabile Signor G



Qualsiasi attributo risulta inadeguato per un personaggio come Giorgio Gaberscik ;conosciuto col nome d’arte di Giorgio Gaber ..ma possiamo comunque affermare che è stato, per la musica, per il teatro e ,in alcuni versi, anche per la politica un personaggio di importante rilievo.
Prende in mano la chitarra a soli 15 anni in seguito ad un incidente a causa del quale per poco non rischia la paralisi al braccio sinistro.
I risultati sono subito visibili:comincia a suonare al Santa Tecla, locale conosciuto di Milano, riuscendo in questo modo a pagarsi gli studi ; si diploma in ragioneria e frequenta la facoltà di Economia e Commercio alla Bocconi.
Suonando al Santa Tecla di Milano entra infatti a far parte della band dei Rock Boy nella quale suonano anche Adriano Celentano ed Enzo Jannacci. Ed è proprio con quest’ultimo che Gaber si unisce, nel 1959 a formare il duo dei Due corsari.
La sua carriera solista comincia nel 1958 con Ciao ti dirò, un singolo che dà il via al Rock italiano. Gli anni successivi sono ricchi di grandi successi per il Signor G ;tra cui La ballata del Cerutti, uno dei suoi brani più conosciuti del periodo.
Partecipa a diverse edizioni del festival di Sanremo ;tra cui quella del 1966 alla quale si presenta con uno dei suoi più grandi successi: Mai,mai,mai.
Gli anni 70 sono la svolta definitiva per la carriera di Gaber. Dopo aver pubblicato gli album L'asse di equilibrio e Sexus et politica , nei quali mette molto in evidenza la sua “aggressiva” ironia verso la politica;egli decide di portare la musica in teatro con il recital Il Signor G.
In teatro Gaber si sente più libero e riesce a esternare le sue ideologie più che in televisione e i suoi spettacoli si protraggono fino agli anni 90.
Nel 13 aprile del 2001 pubblica il suo penultimo disco La mia generazione ha perso del quale fa parte anche il singolo Destra – sinistra ,uno dei suoi brani più celebri.
Giorgio Gaber muore l’1 Gennaio del 2003 all’età di 63 anni, afflitto da un’atroce malattia; ma la carriera del brillante artista termina solo nel 24 Gennaio dello stesso anno quando esce il suo ultimo album:Io non mi sento italiano con il quale il cantante ribadisce nuovamente con ironia e comicità l’effettiva drasticità della società italiana e per questo non verrà mai dimenticato.

Chiara Hammoud