giovedì 18 febbraio 2010

L'interpretazione dei sogni di Renè Magritte



Sarà che la televisione (soprattutto l’uso dei sottotitoli) ci ha abituato a decifrare velocemente testo e immagine. Fatto sta che ci accorgiamo immediatamente di qualcosa che non funziona nelle didascalie de L’interpretazione dei sogni di Renè Magritte.
Potremmo al limite immaginarci una spiegazione per un cappello sotto il quale è scritto “La neve” o per un bicchiere immediatamente sopra l’indicazione “La tempesta”, fosse solo perché il cappello protegge dalle intemperie o perché la politica belga scatena ogni tanto tempeste in un bicchier d’acqua. Ma un martello che s’intitola “Il deserto” o una candela accesa battezzata “Il soffitto” sono cose che urtano decisamente il buon senso. Eppure le scritte non sono state invertite: le possiamo spostare a piacere ma il puzzle non si ricompone . In genere di fronte a tante bizzarrie, aggrottiamo le sopracciglia e assumiamo un’aria di commiserazione. Questa volta, però, responsabile di tale confusione fra concetto e immagine è Magritte, artista ancora attualissimo la cui opera non può lasciare indifferenti. Conviene forse cercare l’errore non nell’immagine bensì in noi stessi. Non ci aspettiamo forse dagli artisti che affinino il nostro sguardo sul mondo e che ravvivino la nostra sensibilità estetica un po’ troppo attutita? Nei dipinti con parole, Magritte dimostra che il contenuto dell’opera d’arte non può essere delimitato dalle effettive limitazioni dell’immagine e della parola in quanto sistemi di segni convenzionali, né dalla loro dipendenza dall’oggetto.
Egli dispone di un vero e proprio catalogo di oggetti che assembla, che mette in scena così come un mago li cava dal proprio cappello e li dispone obbedendo alla propria fantasia.
Utilizzando una tecnica di illusionismo di ordine onirico è capace di raccontare come un perfetto narratore i lati misteriosi dell’Universo. Queste apparenti contraddizioni tra realtà e rappresentazione generano uno stato di perplessità che costituisce la poesia dell’opera.
Per la prima volta lo scopo dell’arte non è l’arte di per sé, ma la riflessione.

Anita Ballabio

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